Nei condomini, spesso, alle singole unità di proprietà esclusiva viene riconosciuto o si intende riconoscere, in forza di apposta clausola contenuta nel contratto di cessione o nel regolamento condominiale, il diritto all’uso esclusivo di uno o più posti auto. Si pongono vari problemi, legati alla corretta configurazione di tale diritto in relazione a quelli che sono gli obiettivi perseguiti dalle parti, anche e, soprattutto, in ordine alla applicabilità o meno della disciplina in tema di conformità catastale.
Il tema del diritto all’uso esclusivo di uno o più posti auto condominiali pone diversi problemi in ordine alla configurabilità di tale diritto in capo a ciascun condomino. L’approfondimento di tale tema a cura di Giovanni Rizzi è stato pubblicato sulla rivista Notariato, edita da Ipsoa e dedicata alle principali novità normative e giurisprudenziali di interesse per l’esercizio della professione notarile.
Di seguito un estratto integrale della rivista.
Sommario:
Premessa
Le recenti pronunce della Cassazione
La fase genetica del diritto “esclusivo” (al di fuori della “condominialità”)
La fase genetica del diritto “esclusivo” (nell’ambito della “condominialità”)
La fase genetica del diritto “esclusivo” (conclusioni)
La fase “traslativa” del diritto “esclusivo
Premessa
Nei condomini, spesso, alle singole unità di proprietà esclusiva viene riconosciuto o si intende riconoscere, in forza di apposta clausola contenuta nel contratto di cessione o nel regolamento condominiale, il diritto all’uso esclusivo di uno o più posti auto.
Al riguardo si pongono vari problemi, legati alla corretta configurazione di tale diritto in relazione a quelli che sono gli obiettivi perseguiti dalle parti, anche e, soprattutto, in ordine alla applicabilità o meno della disciplina in tema di conformità catastale di cui all’art. 29, comma 1 bis, L. 27 febbraio 1985, n. 52 (nel testo modificato dall’art. 19, comma 14, D.L. 31 maggio 2010, n. 78 convertito con L. 30 luglio 2010, n. 122).
Bisogna, peraltro distinguere tra la fase genetica di un simile diritto (come, ad esempio, nel caso in cui il costruttore o il soggetto unico proprietario di un complesso condominiale abbia individuato più posti auto che intende attribuire in uso esclusivo ai titolari delle singole unità in vendita) e la fase traslativa di detto diritto (come nel caso in cui ci si trova a gestire la cessione di un’unità in condominio cui inerisce, in base al titolo di provenienza, un non sempre ben precisato diritto di “uso esclusivo” su un determinato posto auto).
Normalmente ciò che vogliono le parti è riconoscere al singolo proprietario di un’unità in condominio il diritto perpetuo, trasferibile a propri eredi ed aventi causa, di usufruire (per uso diretto o indiretto) di un determinato poso auto ricavato sull’area comune. Questo è l’obiettivo che, nella maggior parte dei casi, si prefiggono le parti.
L’obbiettivo suddetto può esser raggiunto solo riconoscendo all’acquirente un diritto reale sul posto auto (solo in questo modo si può riconoscere un diritto “esclusivo”); la natura condominiale del posto auto è antitetica al riconoscimento al singolo di un “diritto esclusivo”, posto che la condominialità presuppone pur sempre un godimento comune di tutti i condomini ex art. 1102 c.c. (godimento che può essere anche “ripartito” o “individuale”, ma mai esclusivo).
Nella prassi, peraltro, sono molto più frequenti i casi in cui, anziché ricorrere al trasferimento della proprietà e/o alla costituzione di un diritto reale, l’obiettivo che le parti si prefiggono viene perseguito rimanendo nell’ambito della condominialità dei posti auto, e riconoscendo alle singole unità di proprietà esclusiva un non sempre ben precisato diritto di “uso esclusivo”. Le espressioni “diritto esclusivo” o “uso esclusivo” o “godimento perpetuo” che spesso ricorrono nella prassi, peraltro, sono alquanto infelici ed inadeguate, in quanto creano profonda incertezza sulla natura giuridica del diritto che si è voluto creare in relazione alla reale volontà delle parti.
L’art. 1117, comma 1, n. 2, c.c. stabilisce che sono parti comuni condominiali (se non risulta il contrario dal titolo) le aree destinate a parcheggio. Si tratta di una delle cc.dd. “parti condominiali facoltative”. Infatti si distingue al riguardo tra:
le parti condominiali necessarie alla sussistenza stessa del condominio, quali ad es. il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri, i tetti, ecc. (art. 1117, comma 1, n. 1, c.c.);
le opere e gli impianti che servono all’uso ed al godimento comuni, quali ad es. gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, ecc. (art. 1117, comma 1, n. 3, c.c.);
-e parti condominiali “facoltative” in quanto strumentali ad un miglior utilizzo del condominio e dei servizi offerti, quali ad es. l’alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditori e per l’appunto le aree destinate a parcheggio (art. 1117, comma 1, n. 2, c.c.).
Di conseguenza:
l’esistenza di un condominio non presuppone necessariamente la presenza di un’area, di proprietà comune, destinata a parcheggio (non essendo questa una parte necessaria per la sussistenza stessa del condominio);
non è detto che un’eventuale area scoperta, adibita a parcheggio, debba considerarsi necessariamente parte comune ex art. 1117: ciò può essere escluso dal titolo (attraverso il riconoscimento ai singoli proprietari della proprietà o di altri diritti reali sui posti auto, riconoscimento che esclude per ciò stesso la condominialità dei posti auto);
non è detto che un’eventuale area scoperta di pertinenza di un edificio condominiale debba per ciò stesso considerarsi area destinata a parcheggio, rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 1117, comma 1, n. 2, c.c.; tutto dipende dalla destinazione impressa all’area medesima; valgono a tale riguardo le precisazioni e le prescrizioni risultanti:
dal titolo con cui vengono trasferite le unità facenti parte del condominio (ove si può convenire tra le parti che l’area scoperta debba essere destinata alla sosta dei veicoli);
dal regolamento di condominio; è questa, senza dubbio, la sede più appropriata ove specificare la destinazione di tutte le porzioni comuni che non costituiscano “parti comuni necessarie” e quindi con destinazione che può essere rimessa alla volontà dei condomini.
Una destinazione impressa inizialmente dal titolo o dal regolamento di condominio può, comunque, essere in qualsiasi momento modificata, nel rispetto della procedura ora disciplinata dall’art. 1117 ter c.c.: “per soddisfare esigenze di interesse condominiale, l’assemblea, con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell’edificio, può modificare la destinazione d’uso delle parti comuni”.
Peraltro ciò vale solo per i posti auto (ricavati su area condominiale) che non rientrino nella c.d. “riserva” di cui all’art. 41 sexies, L. 17 agosto 1942, n. 1150 (norma che così dispone: “nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione”). Si pensi al caso del condominio, nel quale siano stati realizzati dei posti auto nell’interrato, nelle proporzioni di cui alla norma citata (1 mq ogni 10 mc di costruzione), posti auto trasferiti in proprietà ai singoli condomini, e nel quale siano stati individuati ulteriori posti auto anche nell’area scoperta condominiale: per questi ultimi posti auto, realizzati in eccesso rispetto al rapporto di legge, e di proprietà condominiale, non vi sono vincoli di sorta, con la conseguenza che i condomini ben potrebbero, con le maggioranze di cui all’art. 1117 ter c.c., mutare la destinazione d’uso dell’area scoperta, rinunciando in tal modo ai posti auto, per altre destinazioni ritenute più utili. Tutto ciò non sarà, invece, possibile se i posti auto, previsti nel progetto edilizio per garantire il rispetto del rapporto funzionale di cui all’art. 41 sexies, L. 17 agosto 1942, n. 1150, sono proprio (ed esclusivamente) quelli ricavati nell’area scoperta condominiale: in questo caso la destinazione a parcheggio dell’area condominiale non è “negoziabile”, in quanto imposta da norme di carattere pubblicistico, per cui non si pone neppure un problema di verifica della destinazione dell’area stessa in base al titolo o al regolamento di condominio; la destinazione a posti auto, in questo caso, non può essere revocata o modificata per decisione dei condomini. La destinazione è inderogabile, discendendo da una prescrizione normativa.
Si rammenta che le parti comuni condominiali sono, per comune opinione, escluse dall’ambito di applicazione della disciplina in tema di conformità catastale di cui all’art. 29, comma 1 bis, L. 27 febbraio 1985, n. 52:
(a) sicuramente esclusi sono i cc.dd. “beni comuni non censibili”: si tratta di tutte le parti comuni condominiali denunciate al Catasto mediante elaborato planimetrico, per le quali pertanto è escluso l’obbligo della presentazione delle planimetrie e quindi l’obbligo di classamento (ad esempio ingressi, vani scale, centrale termica, cortili, aree scoperte, ecc.).
(b) sono pure esclusi i beni comuni censibili, ossia le parti comuni condominiali per le quali sussiste l’obbligo di accatastamento mediante presentazione di planimetria catastale e conseguente classamento (ad esempio garage condominiale, cantina condominiale, alloggio del portiere, ecc…)[1], in quanto, come tutte le parti comuni, anche il loro trasferimento avviene, per la quota di competenza, ex lege, a prescindere da una volontà espressa in atto dalle parti[2]. Soluzione quest’ultima che ha trovato espresso riscontro e conferma anche nella Circolare della Agenzia del Territorio n. 3/2010 del 10 agosto 2010[3].
Le recenti pronunce della Cassazione
Prima di affrontare le problematiche sopra delineate appare opportuno illustrare due recenti pronunciamenti della Cassazione, uno in materia di servitù di parcheggio (sent. Sez. II civ., 6 luglio 2017, n. 16698) e l’altro in materia di uso esclusivo di parti condominiali (ord. Sez. II, civ., 10 ottobre 2018, n. 24958):
(a) con la prima sentenza (sent. Sez. II civ., 6 luglio 2017, n. 16698) la Cassazione ha ritenuto legittima la costituzione della servitù di parcheggio, in quanto lo schema legale delle servitù volontarie lascia ampio margine all’autonomia privata di stabilire il contenuto del “vantaggio” per il fondo dominante, cui deve corrispondere il peso a carico del fondo servente; la servitù, peraltro, va tenuta distinta dal diritto personale di godimento poiché occorre guardare anche al fondo servente, il cui utilizzo non può mai risultare del tutto inibito. Tale sentenza interviene dopo che per anni la stessa Cassazione aveva affermato esattamente il contrario ossia che il diritto di parcheggiare l’auto si risolverebbe sempre in mera commoditas del proprietario del fondo, difettando la realità intesa come inerenza dell’utilità a favore del fondo dominante e del corrispondente peso a carico del fondo servente[4]. Al riguardo la Cassazione nella citata sentenza del 2017 osserva come “ciascuno dei numerosi ed autorevoli precedenti ha riguardato un caso concreto, con le sue peculiarità” mentre “sul piano dei principi generali, lo schema legale della servitù, peso imposto ad un fondo per l’utilità di un altro fondo, lascia ampio margine all’autonomia privata di stabilire il contenuto del vantaggio per il fondo dominante cui corrisponda il peso a carico del fondo servente”. Ancora osserva la Cassazione:
- che si deve ritenere la tipicità delle servitù volontarie essere di carattere strutturale, non contenutistico, ed che è sul piano della conformazione che si deve verificare la possibilità di costituire la servitù di parcheggio;
- che oltre al requisito dell’appartenenza dei fondi servente e dominante a soggetti diversi, il diritto di servitù esige che l’asservimento sia volto a procurare una utilità che deve essere inerente al fondo dominante così come il peso deve essere inerente al fondo servente;
- che il carattere della realità non può essere escluso per il parcheggio dell’auto sul fondo altrui quando tale facoltà sia costruita come vantaggio a favore del fondo, per una sua migliore utilizzazione: è il caso del fondo a destinazione abitativa, il cui utilizzo è innegabilmente incrementato dalla possibilità, per chi sia proprietario, di parcheggiare l’auto nelle vicinanze dell’abitazione;
- che peraltro bisogna guardare anche al fondo servente, il cui utilizzo non può mai risultare del tutto inibito: il proprietario del fondo servente deve poter continuare a fare ogni e qualsiasi uso del fondo che non confligga con l’utilitas concessa; altrimenti si è fuori dallo schema tipico della servitù;
- che pertanto la verifica se ci si trovi in presenza di una servitù di parcheggio o di un diritto personale impone l’esame del titolo e della situazione sottoposta al giudizio, al fine di stabilire se sussistano i requisiti del ius in re aliena.
La Cassazione, pertanto, con la sentenza in commento ha cassato la sentenza della Corte di appello, con rinvio ad altra sua sezione per un nuovo esame della questione relativa all’accertamento dell’esistenza della servitù di parcheggio.
La recente pronuncia della Cassazione in tema di servitù di parcheggio va accolta con estremo favore, in quanto è innegabile che, nell’attuale contesto, un’abitazione priva di un parcheggio ha un valore ed un’appetibilità commerciale obiettivamente inferiori a quelli di un’abitazione dotata di un parcheggio; non può quindi negarsi che la costituzione di una servitù di sosta di veicoli a favore di un’unità abitativa costituisca un’evidente utilità per il fondo dominante, sia sotto il profilo funzionale che economico, utilità che può essere oggettivamente conseguita da chiunque sia proprietario del fondo dominante e che non risulta quindi legata ad una attività personale del soggetto, circostanza questa che, come evidenziato nella citata sentenza della Supreme Corte, vale a distinguere, nel caso concreto, la servitù dal diritto personale di godimento.
(b) con il secondo provvedimento (l’ord., Sez. II, civ., 10 ottobre 2018, n. 24958) nel cassare la sentenza impugnata e rinviare ad altra sezione della Corte d’Appello la decisione di merito, la Cassazione ha fissato i seguenti principi di diritto: “l’uso esclusivo su parti comuni dell’edificio riconosciuto, al momento della costituzione di un condominio, in favore di unità immobiliari in proprietà esclusiva, al fine di garantirne il migliore godimento, incide non sull’appartenenza delle dette parti comuni alla collettività, ma sul riparto delle correlate facoltà di godimento fra i condomini, che avviene secondo modalità non paritarie determinate dal titolo, in deroga a quello altrimenti presunto ex artt. 1102 e 1117 c.c.; tale diritto non è riconducibile al diritto reale d’uso previsto dall’articolo 1021 c.c. e, pertanto, oltre a non mutuarne le modalità di estinzione e a non estinguersi con il decesso del beneficiario, è tendenzialmente perpetuo e trasferibile ai successivi aventi causa dell’unità immobiliare cui accede.”.
Quest’ultima pronuncia suscita non poche perplessità. La Cassazione, con riguardo al diritto di uso esclusivo su parti comuni, riconosciuto al momento della costituzione del condominio, in favore di unità di proprietà esclusiva, ci dice, in sostanza che si tratta di un diritto reale di godimento su cosa altrui, in quanto:
- le parti comuni sulle quali risulta riconosciuto rimangono di titolarità di tutti i condomini per le rispettive quote millesimali;
- garantisce al titolare dell’unità cui inerisce un miglior godimento delle parti comuni gravate da detto diritto (una sorta di godimento “rafforzato”, a condizioni non “paritarie”);
- non si estingue col decesso del beneficiario, è tendenzialmente perpetuo ed è trasferibile ai successivi proprietari dell’unità cui inerisce (in pratica segue l’unità cui inerisce).
La Cassazione ci dice anche che non è il diritto di uso ex art. 1021 (che ha durata limitata alla vita del beneficiario), ma non ci dice di quale altro diritto reale si tratta. Sembrerebbe quindi che la Cassazione abbia enucleato un nuovo diritto reale atipico di natura condominiale (a conferma dell’ormai avvenuto superamento e svilimento del principio del numero chiuso dei diritti reali). E non è una novità, almeno in materia condominiale. Non si può non rammentare come una vasta giurisprudenza della Cassazione[5] abbia riconosciuto, con riguardo ai posti auto realizzati in ossequio alle prescrizioni dell’art. 41 sexies, L. 17 agosto 1942, n. 1150 (norma che prescrive l’obbligo, nelle nuove costruzioni, di riservare appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione), un diritto reale di uso a favore dei proprietari degli alloggi dei quali i posti auto costituiscono pertinenza. Anche in questo caso si è giunti al riconoscimento di un diritto di uso sui generis, di creazione giurisprudenziale, che trova, peraltro, il suo fondamento in norme di natura pubblicistica, quali sono le norme in materia edilizia.
Il diritto di uso esclusivo così come ricostruito in questo pronunciamento della Suprema Corte di Cassazione presenta, in realtà, molte affinità con la servitù di parcheggio (figura quest’ultima “sdoganata” dalla Cassazione con la succitata sentenza del 2017, dopo anni di vero e proprio “ostracismo”): al pari della servitù si tratterebbe di un ius in re aliena, che assicura una utilitas all’unità cui inerisce (fondo dominante) mediante il miglior godimento delle parti comuni, che si trasferisce unitamente all’unità cui inerisce (essendone esclusa una cessione “separata”) e di durata “tendenzialmente perpetua” (anche la servitù, se non costituita con termine finale, è tendenzialmente perpetua, essendo destinata ad estinguersi solo per confusione o per prescrizione per un non uso ventennale). Non appare, quindi, del tutto azzardato ricondurre detto diritto di uso esclusivo, di matrice giurisprudenziale, nell’alveo delle servitù atipiche (di parcheggio).
La fase genetica del diritto “esclusivo” (al di fuori della “condominialità”)
Si è già detto che normalmente ciò che vogliono le parti è riconoscere al singolo proprietario di un’unità in condominio il diritto perpetuo, trasferibile a propri eredi ed aventi causa, di usufruire (per uso diretto o indiretto) di un determinato poso auto ricavato sull’area comune.
Al riguardo si possono prospettare le seguenti soluzioni:
a) costituzione di un diritto di uso ex art. 1021 c.c.: “chi ha il diritto di uso di una cosa può servirsi di essa … per i bisogni suoi e della sua famiglia”; tuttavia un simile diritto mancherebbe di talune delle caratteristiche volute dalle parti:
sarebbe consentito un utilizzo esclusivamente diretto e non un utilizzo indiretto (neppure un comodato a terzi) (artt. 1021 e 1024 c.c.);
sono vietati il trasferimento e la locazione a terzi (art. 1024 c.c.);
mancherebbe la perpetuità del diritto, in quanto destinato a cessare alla morte dell’usuario (artt. 1026 e 979 c.c.);
b) costituzione di un diritto di usufrutto; anche un simile diritto mancherebbe di talune delle caratteristiche volute dalle parti:
mancherebbe la perpetuità del diritto, in quanto destinato a cessare alla morte dell’usufruttuario (art. 979 c.c.);
non è trasferibile per successione mortis causa (estinguendosi con la morte del suo titolare), e sarebbe, inoltre, difficilmente trasferibile per atto inter vivos, in quanto diritto la cui durata è legata alla vita dell’alienante.
c) costituzione di una servitù di parcheggio, soluzione quest’ultima che, come sopra ricordato, ha ottenuto recentemente un riconoscimento di legittimità da parte della Corte di Cassazione, dopo anni in cui la Cassazione aveva escluso la configurabilità stessa della servitù di parcheggio[6].
Con la costituzione della servitù, peraltro, il titolare del diritto non potrebbe poi disporre dello stesso indipendentemente dal trasferimento del bene servito. Il diritto di sosta potrebbe essere “trasferito” solo unitamente al fondo dominante.
d) trasferimento della proprietà: in realtà, al di là delle ricostruzioni e delle qualificazioni più o meno atecniche, ciò che le parti effettivamente vogliono, è trasferire il posto auto in proprietà, l’unico diritto che effettivamente può garantire la piena attuazione di tutte le aspettative delle parti:
opponibilità del diritto ai terzi;
perpetuità del diritto (salvo l’acquisto per usucapione da parte del terzo possessore in buona fede);
trasferibilità del diritto sia per successione mortis causa che per atto inter vivos (anche in via autonoma ed indipendentemente dal trasferimento dell’unità principale);
pieno godimento (diretto e/o indiretto).
In tutti i casi di cui sub a) b) c) e d) debbono, comunque, essere rispettate le prescrizioni in tema di conformità catastale di cui all’art. 29, comma 1 bis, L. 27 febbraio 1985, n. 52, in quanto con il trasferimento in proprietà o con la costituzione di un diritto reale su di un posto auto lo stesso cesserebbe con ciò stesso di essere una parte comune condominiale (un “diritto esclusivo” di un condomino sarebbe in netta contraddizione con il godimento comune che caratterizza una parte comune condominiale) e pertanto non varrebbe più la causa di esclusione dall’ambito di applicazione dell’art. 29, comma 1 bis, L. 27 febbraio 1985, n. 52, operante per le parti comuni condominiali. Tornerebbe applicabile la disciplina relativa ai posti auto dotati di propria “autonomia funzionale e di propria capacità reddituale” e, come tali, qualificabili in termini di “unità immobiliari urbane” con conseguente obbligo del loro previo accatastamento in categoria C/6.
A parità di “condizioni”, in relazione alla portata applicativa dell’art. 29, comma 1 bis, L. 27 febbraio 1985, n. 52, appare pertanto preferibile proporre la soluzione del trasferimento in proprietà, meglio rispondente, per i motivi sopra indicati, a tutte le esigenze ed a tutte le aspettative delle parti.
La fase genetica del diritto “esclusivo” (nell’ambito della “condominialità”)
Nella prassi, peraltro, sono molto più frequenti i casi in cui, come sopra già ricordato, anziché ricorrere al trasferimento della proprietà e/o alla costituzione di un diritto reale, l’obiettivo che le parti si prefiggono viene perseguito rimanendo nell’ambito della condominialità dei posti auto, e riconoscendo ai singoli condomini un non sempre ben precisato diritto di “uso esclusivo”.
La condominialità dei posti auto consente, di norma, a ciascun condomino un godimento comune, un utilizzo promiscuo dei posti auto stessi; si pensi, ad esempio, al cortile condominiale di fatto utilizzato dai condomini per la sosta a “turnazione” dei veicoli (nel senso che la corte è a disposizione di tutti i condomini per la sosta senza limite alcuno ma anche senza alcun diritto esclusivo).
Ciò non toglie, peraltro, che questa non sia l’unica modalità di utilizzo dei posti auto: non sembra contrastare con il carattere condominiale dei posti auto un’eventuale loro utilizzo “ripartito”, se ed in quanto questa modalità di utilizzo possa, comunque, garantire a ciascun condomino il migliore godimento della cosa comune, senza “impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso”.
Anzi un uso ripartito può garantire, meglio di un uso promiscuo e privo di regole, una fruizione disciplinata dei posti auto comuni, evitando litigi e/o soprusi tra condomini ed assicurando a ciascun condomino il godimento del bene comune.
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Ciò, peraltro, sarà possibile solo a condizione che sia, comunque, consentito a ciascun condomino di utilizzare l’area comune, sulla quale (o su parte della quale) siano stati ricavati i posti auto. Tale condizione, ad esempio, potrà considerarsi verificata nei seguenti casi:
qualora nella corte comune sia stato ricavato un numero di posti auto quanto meno pari al numero dei condomini, così da consentire a ciascun condomino l’utilizzo di almeno un posto auto e da non escludere nessun condomino dal godimento della cosa comune;
qualora nella corte comune sia stato ricavato un numero di posti auto anche inferiore al numero dei condomini, se ne è previsto un utilizzo a “turnazione”, così da non escludere, neppure in questo caso, nessun condomino dal godimento della cosa comune;
qualora nella corte comune sia stato ricavato un numero di posti auto anche inferiore al numero di tutti i condomini, in caso di condominio “parziale” (ossia se la corte stessa, per espressa previsione contenuta nei titoli o nel regolamento, non sia considerata parte comune a servizio di tutte le unità del condominio, ma solo di talune unità, di modo che i posti auto ricavati sulla stessa siano in numero non inferiore a quello dei condomini che hanno diritto alla corte stessa);
qualora nella corte comune sia stato ricavato un numero di posti auto anche inferiore al numero dei condomini, se comunque siano possibili diversi utilizzi di ulteriori porzioni dell’area comune, non destinate a posti auto (ad es. può essere che uno o più condomini, che non possiedono veicoli da posteggiare, preferiscano vedersi “attribuito” un altro spazio, ad esempio destinato ad orto o a giardino piuttosto che a posto auto);
qualora nella corte comune sia stato ricavato un numero di posti auto anche inferiore al numero dei condomini, se comunque nella corte comune siano stati ricavati altri spazi o realizzati altri impianti posti a servizio di tutti i condomini (ad esempio un giardino, una piscina, un campo da tennis, ecc.).
L’importante è che, nell’ottica di un uso “ripartito” della cosa comune, ognuno ne possa usufruire secondo le proprie aspettative, senza impedire agli altri di farne parimenti uso; non è, invece, necessario per il verificarsi della condizione de quo, che l’utilizzo sia proporzionale al valore della proprietà spettante a ciascun condomino; bisogna infatti distinguere l’aspetto della titolarità del diritto dall’aspetto dal godimento; per quanto riguarda il primo aspetto, il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni è proporzionale al valore dell’unità immobiliare che gli appartiene, salvo che il titolo disponga altrimenti, (così, infatti, dispone l’art. 1118 c.c.); per quanto riguarda il secondo aspetto, il godimento, per espressa pattuizione intervenuta tra tutti i condomini, può, invece, essere attribuito in maniera non proporzionale al valore delle singole proprietà: ciò che è essenziale (in relazione a quanto disposto dall’art. 1202 c.c., richiamato per il condominio dall’art. 1139 c.v.) è che ciascun partecipante possa servirsi del bene comune purché non ne alteri la destinazione economica e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso. Ciò non esclude, peraltro, che nel disciplinare l’uso ripartito si tenga conto anche del criterio proporzionale (ad esempio riconoscendo al proprietario dell’appartamento di 200 mq l’utilizzo ripartito di due posti auto comuni ed al proprietario dell’appartamento di 100 mq. l’utilizzo ripartito di un solo posto auto comune); non sembra, invece, possibile, escludere un condomino dal godimento del bene comune, in relazione proprio a quanto disposto dall’art. 1202 c.c., in quanto verrebbe “snaturato” nella sua essenza il diritto stesso di comproprietà. Ciò non toglie che il condomino, di fatto, possa non avvalersi della facoltà di godimento riconosciutagli (a tutto vantaggio degli altri condomini) ma questa è situazione ben diversa da quella della esclusione pattizia della facoltà di godimento spettante ad un condomino, che, per i motivi di cui sopra, non si ritiene possibile.
Se non ricorre, invece, la condizione de quo, non si sarà più in presenza di un uso “ripartito” della cosa comune, ma di una disciplina volta ad escludere per taluni beni (ad es. per i posti auto attribuiti in cd. “uso esclusivo”) la “condominialità”, una forma, probabilmente, molto comoda per sfuggire alla tassazione degli immobili (si può, infatti, ricorrere alla formula dell’uso esclusivo al fine di evitare il trasferimento in piena proprietà di uno o più posti auto, trasferimento che implicherebbe il previo accatastamento in categoria C/6, e quindi l’assoggettamento all’imposizione fiscale, dei posti auto suddetti).
L’uso ripartito dei posti auto condominiali, pertanto, consente un uso “individuale” di quelle che sono parti condominiali, che presupporrebbero, per definizione, un uso e godimento promiscui. Ciascun condomino, in particolare, potrà utilizzare il posto auto che gli è stato attribuito a seguito della ripartizione, posto auto che per converso non potrà essere utilizzato da tutti gli altri condomini. La possibilità di prevedere un uso individuale di beni comuni, peraltro, sembra trovare un testuale riscontro nella disposizione dell’art. 1122 del c.c.: “Nell’unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all’uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all’uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio.”. La norma in commento sembra lasciare spazio a forme di “uso individuale” di parti comuni condominiali (in alternativa al trasferimento in proprietà esclusiva delle parti altrimenti “normalmente destinate all’uso comune”), forme di “uso individuale” che debbono, comunque, sempre soddisfare la condizione sopra illustrata di cui all’art. 1102 c.c. (e cioè che attraverso forme di uso individuale sia comunque consentito a tutti i condomini di fare parimenti uso della cosa comune).
L’uso “ripartito” dei posti auto condominiali, richiede un’apposita manifestazione di volontà in tale senso, manifestazione di volontà che dovrà risultare:
o dal titolo con cui vengono trasferite le unità facenti parte del condominio;
o dal regolamento di condominio; è questa, certamente, la sede più appropriata ove disciplinare le modalità di utilizzazione e di godimento dei posti auto condominiali.
Le clausole del regolamento che prevedono l’utilizzo “ripartito” dei posti auto, in quanto incidenti su diritti soggettivi dei singoli condomini (in quanto da un lato attribuiscono una posizione di favore rispetto al posto auto assegnato che non potrà essere utilizzato dagli altri condomini, ma dall’altro limitano i diritti di ciascun condomino, che non potrà, a sua volta, utilizzare i restanti posti auto attribuiti agli altri condomini) debbono considerarsi di natura “contrattuale” con la conseguenza che:
potranno essere inserite in un regolamento di condominio solo col consenso unanime di tutti i condomini;
potranno essere modificate e/o eliminate sempre solo col consenso unanime di tutti i condomini.
Con questa particolare modalità di disciplina del posto auto, il singolo condomino non acquisisce alcun diritto “esclusivo” sul posto auto, né un diritto autonomamente trasferibile. Egli rimarrà titolare del diritto di comproprietà (per la corrispondente quota millesimale) di tutti i posti auto ricavati nell’area comune e, al contempo, sarà tenuto a rispettare ed osservare (così come potrà pretendere anche da parte di tutti gli altri condomini il rispetto) della particolare disciplina dettata nel Regolamento di Condominio relativa all’uso “ripartito” dei posti auto. Egli potrà trasferire il suo diritto (di comproprietà ad uso “ripartito”) sui posti auto condominiali solo trasferendo il bene principale. Per converso il trasferimento a terzi del bene principale porterà con sé, necessariamente, anche il trasferimento del diritto (di comproprietà ad uso “ripartito”) sui posti auto condominiali.
La situazione, almeno sotto questo profilo, appare ben diversa da quella sopra delineata del trasferimento del posto auto in proprietà.
Le clausole del regolamento che prevedono l’utilizzo “ripartito” dei posti auto, danno pertanto luogo a delle vere e proprie obbligazioni propter rem, per la cui opponibilità a terzi, secondo l’opinione tradizionale, non necessita la trascrizione nei RR.II. Tutte le clausole contenute in un Regolamento di Condominio (che non comportino la costituzione di servitù), anche se determinano il sorgere di una obbligatio propter rem, sono di per sé stesse opponibili a terzi (si ritiene in dottrina che le stesse non possano neppure essere trascritte). Ne consegue che nel caso di trasferimento di un’unità cui competa una quota millesimale di comproprietà su posti auto condominiali ad uso “ripartito”, l’acquirente subentrerà nell’intera posizione giuridica del proprio dante causa con riguardo ai posti auto suddetti: potrà pertanto utilizzare solo il posto auto di competenza fermo restando che lo stesso non potrà essere invece utilizzato dagli altri condomini.
Da segnalare che vi sono casi in cui:
A) l’uso “ripartito” dei posti auto condominiali è, di fatto, “obbligato”;
B) l’uso “ripartito” dei posti auto condominiali non è, al contrario, in alcun modo possibile.
Si rientra nella fattispecie di cui sub A, ad esempio, nel caso di posti auto soggetti al cd. “vincolo Tognoli” (art. 9, L 24 marzo 1989, n. 122); nel caso di “vincolo Tognoli” si viene, infatti, a creare un vincolo pertinenziale indissolubile tra unità singola e posto auto, per cui quest’ultimo non potrà che essere utilizzato dal proprietario dell’unità singola della quale costituisce pertinenza. L’uso “ripartito” è insito nel modo stesso di operare del “vincolo Tognoli”. Ovviamente, per le ragioni di cui si è detto sopra, sarà possibile mantenere la condominialità di posti auto gravati da “vincolo Tognoli”, e quindi soggetti ad uso “ripartito”, solo a condizione che sia, comunque, consentito a ciascun condomino di utilizzare l’area comune, sulla quale (o su parte della quale) siano stati ricavati i posti auto. Se, invece, tale condizione non si verifica, non sarà possibile mantenere questi posti auto in condominialità, ma gli stessi dovranno necessariamente essere trasferiti in proprietà agli aventi titolo; si pensi al caso in cui siano stati ricavati posti auto con “vincolo Tognoli” in numero inferiore a quello dei condomini (con vincolo pertinenziale solo a favore di talune unità) e sull’area comune non vi siano altri spazi e/o impianti destinati ai condomini, diversi da quelli cui spetta il posto auto (si rammenta che i posti auto con “vincolo Tognoli” possono essere realizzati solo nel sottosuolo di edifici ovvero nei locali al piano terreno ovvero nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne).
Si rientra nella fattispecie di cui sub B, ad esempio, nel caso di posti auto soggetti a vincolo di uso pubblico. Si pensi al progetto edilizio che, per garantire il rispetto della vigente normativa urbanistica in tema di dotazione di standard, preveda espressamente la realizzazione sulla corte comune di posti auto da vincolare ad uso pubblico (spesso gli strumenti urbanistici comunali subordinano la realizzazione di spazi destinati ad attività commerciali o direzionali alla costituzione di un vincolo di destinazione di tutta o di parte dell’area scoperta a parcheggio ad uso pubblico). In questo caso l’area destinata a parcheggio non solo ha una destinazione vincolata (e non negoziabile come nel caso sopra illustrato dei posti auto ex art. 41 sexies, L. n. 1150/1942) ma anche un uso vincolato: gli spazi a parcheggio debbono essere a disposizione del “pubblico”, ossia degli utenti delle attività commerciali e/o direzionali ubicate nell’edificio. Un uso “ripartito” e “individuale” si porrebbe in contrasto con questo uso pubblico. Solo per eventuali posti auto ulteriori, rispetto a quelli da vincolare ad uso pubblico, sarebbe possibile prevedere un uso “ripartito”, sempreché ricorrano tutte le condizioni sopra illustrate.
I posti auto, anche ad uso “ripartito”, se ed in quanto qualificabili come posti auto condominiali, ricorrendo tutte le condizioni sopra esposte, restano fuori dal perimetro di applicazione della normativa in tema di conformità catastale di cui all’art. 29, comma 1 bis, L. 27 febbraio 1985, n. 52, al pari di tutte le parti condominiali.
Ciò vale:
sia per i posti auto condominiali iscritti in Catasto come beni comuni non censibili;
che per i posti auto condominiali iscritti in Catasto come beni comuni censibili (con deposito della planimetria catastale ed attribuzione alla categoria C/6), siano essi confluiti nella Partita speciale denominata “beni comuni censibili” ovvero siano essi intestati ai singoli condomini pro quota, stante la specifica posizione assunta dall’Agenzia del Territorio con la Circolare n. 3/2010 del 10 agosto 2010, in ordine all’esclusione dall’ambito di applicazione della norma in commento anche dei beni comuni censibili.
Pertanto, a prescindere dalla circostanza che i posti auto condominiali siano stati iscritti al catasto come beni comuni non censibili ovvero come beni comuni censibili, la soluzione, ai fini dell’applicabilità o meno della normativa in tema di conformità catastale di cui all’art. 29, comma 1 bis, L. 27 febbraio 1985, n. 52, è sempre la stessa, nel senso cioè della loro esclusione dall’ambito applicativo di detta normativa. A condizione, lo si ribadisce, che i posti auto siano effettivamente qualificabili come parti condominiali, e non siano invece nella disponibilità di alcuni soltanto dei condomini (particolare attenzione va prestata, pertanto, nel caso di formule come quelle dell’attribuzione dell’uso esclusivo dei posti auto, che potrebbero celare forme di elusione fiscale).
La fase genetica del diritto “esclusivo” (conclusioni)
Concludendo:
1) se si vuole riconoscere un diritto reale, è opportuno non ricorrere a qualificazioni fuorvianti come “diritto esclusivo” o “uso esclusivo” o “godimento perpetuo” e procedere, invece:
o al trasferimento del posto auto in proprietà;
o alla costituzione di una servitù di parcheggio (in quest’ultimo caso il titolare del diritto non potrà poi disporre dello stesso indipendentemente dal trasferimento del bene servito).
La costituzione di altri diritti reali appare particolarmente problematica in quanto i diritti di usufrutto e di uso incontrano un limite nella temporaneità del diritto (che si estingue con la morte del titolare); inoltre il diritto di uso è per legge incedibile.
Ovviamente con il trasferimento del posto auto in proprietà e con la costituzione della servitù di parcheggio[7], trova piena applicazione la disciplina in tema di conformità catastale di cui all’art. 29, comma 1 bis, L. 27 febbraio 1985 n. 52, per cui:
i posti auto debbono essere accatastati (in categoria C/6) con presentazione delle relative planimetrie;
vanno riportatati in atto, a pena di nullità, l’identificativo catastale, il riferimento alle planimetrie catastali depositate in catasto e la dichiarazione di parte di conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale (dichiarazione, peraltro, che può essere sostituita, da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato).
2) se vi vuole rimanere nell’ambito della condominialità si può prevedere l’uso “ripartito” (e quindi l’uso “individuale”) dei posti auto condominiali, ricorrendo ad apposita clausola da inserire nei titoli traslativi ovvero (soluzione preferibile) nel Regolamento di Condominio. Ciò, peraltro, sarà possibile solo a condizione che sia, comunque, consentito a ciascun condomino di utilizzare l’area comune, sulla quale (o su parte della quale) siano stati ricavati i posti auto. Anche in questo caso appare opportuno evitare il ricorso a qualificazioni fuorvianti come “diritto esclusivo” o “uso esclusivo” o “godimento perpetuo”, e precisare, invece, che i posti auto costituiscono parti comuni condominiali ai sensi dell’art. 1117, comma 1, n. 2, c.c., soggetti alla particolare disciplina regolamentare per l’utilizzo “ripartito” contenuta nel Regolamento di Condominio, al cui rispetto sono, conseguentemente tenuti, tutti i condomini.
I posti auto, anche ad uso “ripartito”, se ed in quanto qualificabili come posti auto condominiali, restano fuori dal perimetro di applicazione in tema di conformità catastale di cui all’art. 29, comma 1 bis, L. 27 febbraio 1985, n. 52, al pari di tutte le parti condominiali.
La fase “traslativa” del diritto “esclusivo”
Diverse sono le problematiche per il caso in cui si deve ritrasferire un’unità facente parte di un condominio alla quale sia stato attribuito un posto auto scoperto in “uso esclusivo” (normalmente non accatastato ma individuato con una sigla o con apposita numerazione in un elaborato grafico allegato al titolo di provenienza).
A tal riguardo la prima questione da affrontare è quella della qualificazione giuridica di questo “diritto di uso esclusivo”: si tratta di un diritto di natura reale ovvero di un diritto di natura obbligatoria?
Sotto il primo profilo (diritto di natura reale) appare difficile qualificare tale diritto come diritto di uso e/o diritto di usufrutto, in quanto non era certo volontà delle parti, al momento della sua costituzione, riconoscere all’acquirente un diritto incedibile a terzi (come nel caso del diritto di uso) o comunque un diritto temporaneo destinato ad estinguersi con la morte del titolare.
Probabilmente ciò che le parti volevano trasferire era un vero e proprio diritto di proprietà, ma difficilmente quello che nel titolo di provenienza è stato qualificato come “diritto esclusivo” (in antitesi al diritto sull’alloggio indicato come “proprietà piena”) può essere riqualificato in termini di proprietà, sul piano puramente interpretativo (ad opera e sotto la responsabilità del Notaio chiamato a ricevere l’atto di ritrasferimento).
Due, quindi, sono le alternative possibili:
(a) o qualificare tale diritto come servitù di parcheggio, qualificazione che oggi può trovare fondamento proprio sui recenti pronunciamenti della Corte di Cassazione in materia di servitù di parcheggio (sent. Sez. II civ., 6 luglio 2017, n. 16698) e in materia di uso esclusivo di parti condominiali (ord. Sez. II civ. 10 ottobre 2018, n. 24958)[8]; come sopra già ricordato il diritto di uso esclusivo così come ricostruito in quest’ultimo pronunciamento della Suprema Corte di Cassazione presenta, in realtà, molte affinità con la servitù di parcheggio per cui non appare del tutto azzardato ricondurre detto diritto di uso esclusivo, di matrice giurisprudenziale, nell’alveo delle servitù atipiche (di parcheggio).
(b) ovvero ricostruire la fattispecie de quo come fattispecie complessa che, al di là delle espressioni utilizzate dalle parti, presenta sia profili di realità che profili di obbligatorietà. Ciò che il condomino, in questi casi, avrebbe effettivamente acquistato è una quota di comproprietà dell’intera corte condominiale, sulla quale sono stati realizzati i suddetti posti auto (il profilo di realità) con contestuale subentro nello specifico regolamento condominiale riguardante l’uso di questa corte, che, al fine di garantire il rispetto dell’art. 1102 c.c., prevede l’utilizzo “ripartito” dei vari spazi individuati per la sosta di veicoli, e quindi un obbligo a carico dei condomini di rispettare tale “ripartizione” (profilo di “obbligatorietà). Al riguardo si è già avuto modo di ricordare che:
non sembra contrastare con il carattere condominiale dei posti auto un’eventuale loro utilizzo “ripartito”, se ed in quanto questa modalità di utilizzo possa, comunque, garantire a ciascun condomino il migliore godimento della cosa comune, senza “impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso”;
un uso ripartito può, addirittura, garantire, meglio di un uso promiscuo e privo di regole, una fruizione disciplinata delle parti comuni, evitando litigi e/o soprusi tra condomini ed assicurando a ciascun condomino il godimento del bene comune.
Tale ultima ricostruzione, peraltro, presuppone il ricorrere delle seguenti condizioni:
che vi sia un Regolamento di Condominio che disciplina fra le altre cose anche l’uso della corte condominiale ovvero che via sia un accordo specifico (qualificabile comunque come regolamento condominiale) che disciplini in maniera puntuale l’utilizzo della corte suddetta.
che nel regolamentare la “ripartizione” degli spazi di sosta sia stata rispettata la prescrizione dell’art. 1102 c.c. nel senso che la stessa deve essere funzionale ad una corretta e ben disciplinata utilizzazione della corte comune, senza che siano attribuiti privilegi ad alcuni condomini a discapito degli altri; l’art. 1102 c.c., come già ricordato, prescrive che “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca al altri di farne parimenti uso secondo il loro diritto” per cui un regolamento della cosa comune, che costituisca attuazione di detta disposizione, deve garantire l’utilizzo della cosa comune a tutti condomini e non solo ad alcuni di essi.
Comunque si voglia qualificare il diritto, in relazione all’alternativa sopra illustrata, resta comunque esclusa nel caso di specie l’applicazione della disciplina in tema di conformità catastale di cui all’art. 29, comma 1 bis, L. 27 febbraio 1985, n. 52:
(a) nel primo caso (qualificazione del diritto esclusivo sul posto auto come servitù di parcheggio intesa in senso lato, comprensiva anche del diritto di uso esclusivo di matrice giurisprudenziale) non ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’art. 29, comma 1 bis, L. 27 febbraio 1985, n. 52 in quanto, in questo caso, non viene costituito un nuovo diritto di servitù; né si ha un trasferimento in senso tecnico della servitù: la servitù segue il bene a favore del quale risulta costituita, senza possibilità di “circolazione” in maniera autonoma. In pratica oggetto di trasferimento è la proprietà di un alloggio che gode del diritto di servitù di parcheggio sul posto auto condominiale. La disciplina in tema di conformità catastale di cui all’art. 29, comma 1 bis, L. 27 febbraio 1985, n. 52 riguarda, pertanto, soltanto l’alloggio ma non anche il posto auto (la cui situazione giuridica rimane invariata, risultando sempre posto a servizio di quel determinato alloggio).
(b) nel secondo caso (qualificazione del diritto esclusivo come fattispecie complessa che presenta sia profili di realità che profili di obbligatorietà) il posto auto, benché vi sia uno specifico regolamento per la disciplina dell’uso a sosta veicoli (e/o a eventuali diversi usi) rimane qualificabile quale “parte condominiale”, e come tale rimane esclusa dall’ambito di applicazione dell’art. 29, comma 1 bis, L. 27 febbraio 1985, n. 52. Se non ricorrono, invece, le condizioni sopra indicate (ed in particolare la condizione di cui al precedente punto b) sub ii), non siamo più in presenza di un uso “ripartito” della cosa comune, ma di una disciplina volta ad escludere per taluni beni la “condominialità”, una forma, probabilmente, molto comoda per sfuggire alla tassazione degli immobili.
Si rammenta, ulteriormente, che le parti comuni condominiali sono, per comune opinione, escluse dall’ambito di applicazione della disciplina in tema di conformità catastale di cui all’art. 29, comma 1 bis, L. 27 febbraio 1985, n. 52.
Codice dei contratti pubblici Commentato
Per approfondimenti:
Codice dei contratti pubblici Commentato
di Perfetti Luca R., 2017, Ipsoa
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(Altalex, 12 marzo 2019)
[1] Come previsto nella Circolare Direzione generale del catasto e dei Servizi tecnici erariali n. 2 del 20 gennaio 1984.
[2] In questo senso C.N.N. nella Circolare pubblicata in C.N.Notizie n. 123 del 28 giugno 2010 (“La circolazione immobiliare a seguito del d.l. 31 maggio 2010 n. 78. Prime note”) ove si escludono dal perimetro applicativo della norma le parti comuni condominiali “posto che queste si trasferiscono, pur nel silenzio del contratto, per quote millesimali unitamente al bene condominiale di proprietà esclusiva (cfr. art. 1117 c.c.) e non sono autonomamente cedibili”.
[3] Circolare della Agenzia del Territorio 10 agosto 2010, n. 3/2010: “con particolare riferimento agli immobili intestati alla partita “beni comuni censibili”, quali l’alloggio del portiere, si ritiene che la dichiarazione di conformità allo stato di fatto non sia obbligatoria nel caso in cui il trasferimento “delle relative quote e diritti” avvenga unitamente al trasferimento dell’unità immobiliare oggetto di compravendita (quando, a titolo esemplificativo, nella vendita di un appartamento sono ricomprese quote e diritti connessi ai beni comuni censibili). Di contro, detta dichiarazione assume rilevanza nell’ipotesi in cui l’alloggio del portiere, o altro bene comune censibile, sia oggetto di autonomo trasferimento da parte dei condomini. In questa ultima ipotesi, infatti, l’unità immobiliare perde la sua funzione di bene condominiale e, pertanto, si rende necessaria anche la relativa registrazione con una specifica intestazione, in luogo della partita speciale, per tenere in debita evidenza i diritti e le quote vantati da ciascun soggetto.”.
[4] Cass. 28 aprile 2004, n. 8137; Cass. 21 gennaio 2009, n. 1551; Cass. 13 settembre 2012, n. 15334; Cass. 6 novembre 2014, n. 23708.
[5] Fra le molteplici sentenze sull’argomento si ricordano le tre sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione le nn. 6600, 6601, 6602 del 17 dicembre 1984.
[6] Cass., Sez. II civ., 6 luglio 2017, n. 16698; vedi precedente par. II.
[7] È ricompreso nell’ambito di applicazione della normativa in materia di conformità catastale anche l’atto costitutivo di servitù, facendo la stessa riferimento agli atti di costituzione di … diritti reali senza limitazioni di sorta (al contrario ad esempio di quanto prevede la normativa in materia urbanistica ove da un lato si fa riferimento agli atti costitutivi di diritti reali ma dall’altro si escludono espressamente gli atti costitutivi, modificativi o estintivi di servitù); secondo l’opinione prevalente la normativa suddetta si applica avendo riguardo alle caratteristiche del solo fondo servente e quindi solo se il fondo servente sia un’unità urbana dotata di automa capacità reddituale (al contrario non si applica se invece unità urbana sia il fondo dominante, ma non il fondo servente).